Rimini, 1 dicembre 2014 - Cinque poliziotti che erano in servizio nel 2004 alla Squadra Mobile della Questura di
Rimini e che indagarono
sulla morte del
campione di ciclismo Marco
Pantani hanno
dato mandato agli avvocati Moreno Maresi e Mattia Lanciani di procedere in
giudizio contro tutti coloro che hanno diffuso «notizie gravemente lesive»
della loro reputazione.
Sono il vice questore Sabatino Riccio, che allora dirigeva la Squadra Mobile, il
commissario capo Giuseppe
Lancini, gli
ispettori capo Daniele
Laghi e Vladimiro Marchini e il
sovrintendente capo Walter
Procucci.
«Non pare più possibile
rimanere silenti - spiegano i due legali - e soprattutto continuare a tollerare
unlinciaggio mediatico che
ha assunto proporzioni inaccettabili e che appare alimentato da strumentali e
apodittiche ricostruzioni dei fatti, spesso accompagnate dalla diffusione di
fatti manifestamente travisati».
Dopo l’avvio da parte della
Procura di Rimini di una nuova
inchiesta sulla
morte di Pantani - spiegano i due legali - «come in una sorta di racconto a
puntate, sono state descritte importanti svolte investigative, tutte legate da
un unico filo conduttore, che porta da un lato ad affermare come la morte
dell’atleta romagnolo non sia avvenuta nei termini accertati nel corso dell’inchiesta
già condotta dalla Procura di Rimini, e dall’altro ad accreditare con notevole
enfasi la tesi dell’omicidio volontario. In questo contesto sono letteralmente
piovute sugli inquirenti della Squadra Mobile di Rimini che all’epoca
indagarono sulla morte del celebre ciclista accuse di ogni tipo circa lo svolgimento di molteplici atti
di indagine».
«In tutto questo periodo -
aggiungono gli avvocati Maresi e Lanciani - gli allora appartenenti alla
Squadra Mobile di Rimini (alcuni dei quali non più in servizio), nel pieno
rispetto di una indagine ancora in corso, hanno mantenuto il silenzio. Ma di fronte al moltiplicarsi delle
accuse, peraltro sempre propalate in toni sensazionalistici, con copertura
mediatica che ha sin qui spaziato tra carta stampata, video, radio e web, non pare più possibile rimanere silenti e soprattutto continuare a tollerare un
linciaggio mediatico che ha assunto proporzioni inaccettabili e che appare
alimentato da strumentali e apodittiche ricostruzioni dei fatti, spesso accompagnate
dalla diffusione di fatti manifestamente travisati».
I due legali, infine,
evidenziano come «sul piano umano la ‘gogna mediatica’ a cui sono stati
sottoposti gli investigatori, abbia ingiustamente provocato loro un profondo
stato di amarezza, ampiamente mitigato dalla consapevolezza di aver svolto con senso del dovere, impegno e speditezza i delicati accertamenti di polizia sulla
morte di Marco Pantani».
«Il Pirata», come era
soprannominato Pantani, fu trovato morto in un residence di Rimini la sera del 14 febbraio 2004: il decesso fu attribuito ad arresto
cardiaco dovuto a uso eccessivo di sostanze
stupefacenti.
La scorsa estate, su istanza
della famiglia, la Procura di Rimini ha avviato una nuova inchiesta sulla morte
di Pantani - al momento senza indagati - ipotizzando il reato di
omicidio volontario.
La nuova perizia
conferma: ferite compatibili con la caduta
Le ferite sul corpo di Marco Pantani
risulterebbero compatibili
con una caduta. L'elemento filtra dall'accertamento medico-legale disposto
dalla Procura di Rimini per far luce, a 10 anni di distanza, sulle cause
della morte del campione di ciclismo. Il documento depositato
da Franco Tagliaro, incaricato dopo che il caso è stato riaperto sulla
base di un esposto della famiglia di Pantani, confermerebbe quindi la
ricostruzione del medico che fece l'autopsia nel 2004. La
Procura valuterà a breve se ripetere anche gli esami tossicologici, come
previsto dall'incarico.
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