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    sabato 9 maggio 2015

    Incontro con Padre Giovanni Spadola: un eremita priolese. L a scelta della solitudine e del silenzio in un’epoca di chiasso e confusione.

    L’incontro è avvenuto in modo casuale o forse proprio no, a volte certe confluenze presentano quasi un velo di mistero e occasionali non appaiono per nulla…anzi. Inizia così un viaggio senza eguali nel mondo di un priolese non comune, che ci ha aperto l’uscio della conoscenza del proprio universo di solitudine, in cui il comunissimo vivere si mesce con lo straordinario attraverso una semplicità disarmante e il perdersi in quella profondità interiore diventa così tanto semplice, troppo. Eremita nella Chiesa di Santa Maria dell’Oliva, ex Convento dei Frati Minori, a MACIANO di Pennabilli (RN), ci inoltriamo nel mondo dei consacrati in una lunga conversazione con Padre Giovanni Spadola da Priolo Gargallo.

    1)     Cosa vuol dire la chiamata al sacerdozio?
    Padre Giovanni Spadola: “Io non volevo diventare sacerdote, non mi sentivo preparato, non mi sentivo all’altezza perché avrei voluto fare l’eremita come frate semplice. Osservando gli altri sacerdoti quando predicavano, notavo che il sacerdozio non faceva per me, non mi sentivo adatto per questa chiamata e mi vedo ancora come colui che non sa nè parlare nè scrivere. Poi, nel mio cammino, ho conosciuto delle anime particolari, che mi hanno spinto per la via del sacerdozio. Ascoltando attentamente e, con l’obbedienza, sono arrivato al sacerdozio e ho capito che esso si fa con Gesù, tutto si fa con Gesù. Ci sono i doni ricevuti, i nostri talenti, però, se il sacerdozio si fa con Lui, seriamente, fa tutto Lui, ti dà una mano. Il sacerdozio è Suo, è una chiamata, sceglie Lui, infatti non si deve spingere mai su una cosa in qualunque stato, diciamo laico, religioso. Quando non è chiamata, bisogna stare attenti, altrimenti poi diventa una croce pesante, che ti schiaccia, invece, quando quella cosa la vuole Dio, è una croce che ha le ali, è una croce luminosa, che porta luce a te e agli altri, senza che nemmeno te ne accorgi”.
    2)     L’ha capito subito che si trattava della chiamata o all’inizio non era chiaro?

    All’inizio no però chiesi al Signore un padre spirituale ed ebbi la grazia di seguirLo attraverso il celebre eremita Ugo di Testa dell’Acqua, con cui stavo sempre in contatto, ora egli si trova presso un altro eremo perché il Signore gli ha assegnato una chiamata ancora più profonda, vive da recluso. Fu lui a dirmi che dovevo lasciare il mondo e ritirarmi in un Monastero; poi conobbi un altro santo, amico di padre Ugo, don Divo Barsotti, un mistico, dopo un mese che ero nel suo eremo, disse: “Pregate per Giovanni perché Gesù lo vuole tutto per sé”. Allora mi ritirai in un eremo in Sicilia e lì stetti tre anni, poi andai in Monastero, diventai sacerdote e, dopo 12 anni, ritornai a fare vita eremitica fino al 2010”.

    3)     Come cambia la vita di un giovane dopo la chiamata?

    “A me il Signore tolse subito il gusto del mondo e l’unico gusto forte che era presente nel mio cuore ed è presente sempre è questo contatto, la vicinanza sempre con Lui, con il prossimo. Mi mise nel cuore sete dell’Assoluto e di anime, sentivo questo ardore molto forte, anche ora è così, pur se in una maniera diversa. All’inizio c’è una grande fiamma, come un roveto ardente, poi rimane il carbone acceso e lo devi alimentare tu, sempre a contatto con Gesù, con l’Eucarestia, con la Parola e con quello che ti dice il Signore attraverso il tuo padre spirituale e la Chiesa. Ci vuole sempre questo contatto con il Signore”.

    4)     Ha potuto seguire subito la chiamata?

    “Mi sono messo nelle mani di padre Ugo, mi sono messo in ascolto, tutto quello che lui mi diceva, con obbedienza, io lo facevo e vedevo che c’era qualcosa di particolare e, quindi, dopo sei anni che mi seguiva, mi disse di lasciare tutto, io dissi che lasciavo tutto e andai in Monastero. Ho aspettato i tempi di Dio attraverso il mio padre spirituale.”

    5)     Qual è stata la reazione della Sua famiglia?

    “La buon’anima di mio padre mi disse che aveva capito, i miei infatti mi spiavano anche dal buco della serratura mentre ero nella mia camera e vedevano che il figlio stava lì a pregare in ginocchio, mi avevano visto cambiato, non vivevo più come una volta. Mio padre si mise a piangere e mi disse che non accettava quella scelta, che non sarebbe venuto a trovarmi laddove mi fossi recato. Poi è morto nel 2001; mia mamma nel silenzio soffriva, ma, quando mi consacrai e feci tutto il cammino, mi disse che era felice perché mi vedeva che ero felice, quindi questa felicità la condivide con me”.

    6)     Com’era stato, fino a quel momento, il Suo rapporto con la fede?

    “Io ho pregato sempre, sin da piccolino; c’è stato solo un momento di buio, di notte oscura, mi pare che sia durato un anno o due. Poi, quando ero studente universitario a Messina, stavo pregando in una Chiesa, dove ci sono le suore clarisse, un ordine di clausura di Sant’Eustochia, là un’altra volta sentii il tocco dello Spirito e si risvegliò nuovamente qualcosa di forte in me e là ritornai ancora sui passi del Signore. Lo ricercai e mi ricordai questa frase, mentre ero in ginocchio, che pregavo, guardavo Santa Eustochia sospesa nell’aria, che sfida la gravità, e dissi: “Quanto mi sei mancato!”. Sentii il tocco che, quando pregavo nella Chiesa dell’Immacolata da piccolo, avvertivo e da lì misi in discussione tutto.”

    7)     La scelta di vivere una vita romita da dove nasce?

    “Questo lo devi chiedere al Signore, è stato Lui a condurmi negli eremi e mi fa incontrare sempre degli eremiti”.

    8)     Quali rinunzie comporta vivere una vita da eremita?

    “Me lo chiedono in tanti, dover fare tutto da sé, star soli, non è una rinunzia perché vivo questo cammino con tanta serenità e non mi accorgo delle difficoltà, delle rinunzie, per me è semplice come camminare sulle acque, è la grazia che Gesù dà, che conferma la chiamata. Si tratta di una chiamata vagliata dalla Chiesa, c’è un decreto vescovile, c’è un discernimento, una presa d’atto attraverso la sapienza della Chiesa e dei padri spirituali, che aspettano che il soggetto dica, tranne che il padre spirituale non sia Santo, allora è Gesù stesso che gli dice che vuole questo per te”.


    Maria Luisa Vanacore –  (Continua…) (Fonte:www.informa7.it)
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    1 commenti:

    1. Grande padre Gianni, non vedo l'ora di rivederla xké mi da quella sensazione di pace e fiducia in me stessa 🤗🤗

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