Il religioso prova a rovesciare la condanna a 27 anni.
Sentenza possibile già stasera sempre che non venga riaperto il dibattimento.
Gli indizi chiave, le richieste della difesa, il giudice di Amanda
Arezzo, 13 dicembre 2017
- Ci sarà dopo la Caporetto del Frate (la sentenza di condanna a 27 anni
in primo grado arrivò proprio il 24 ottobre, nell’anniversario della storica
sconfitta) la Vittorio Veneto di Padre Graziano, il giorno nel quale riesce a
liberarsi dell’infamante accusa, soprattutto per un sacerdote, di aver ucciso
Guerrina Piscaglia diventata un fastidio per come si era infatuata di lui? E’
il grande tema appunto del processo d’appello che si apre stamani dinanzi alla
corte d’assise di Firenze e nel quale i protagonisti saranno più o meno gli
stessi.
Non
solo dunque, e ovviamente, l’imputato, ancora agli arresti domiciliari in un
convento di Roma ma che oggi si presenterà con le sue gambe, senza scorte, ma
anche i suoi avvocati, Riziero Angeletti, su cui ricadrà ancora una volta il
peso principale della difesa, e Francesco Zacheo, e persino il Pm Marco Dioni,
applicato in appello, il cui teorema d’accusa è per Padre Graziano lo scoglio
principale da doppiare per salvarsi dalla conferma della condanna.
Di
nuovi ci sono il presidente della corte d’assise d’appello, Alessandro
Nencini, lo stesso che assolse Amanda Knox, e l’altro Pm, Luciana Piras,
sostituto procuratore generale che si avvarrà appunto anche dell’esperienza di
Dioni. La difesa chiede di riaprire il dibattimento e di riascoltare tutti quei
testimoni che erano stati sentiti in incidente probatorio durante le indagini
preliminari, mai tornati in aula.
Primo
fra tutti Padre Hilary Okeke, il sacerdote nigeriano destinatario del
celeberrimo sms che resta la principale pietra su cui è costruito il verdetto
di primo grado. E poi Cristina Repciuk, che racconta di aver avuto una
relazione con il frate più sospettato (e ora condannato) d’Italia, e le due
nomadi perugine che hanno raccontato di aver fatto sesso con lui.
Lo
scopo è evidente: intanto ripulire di Padre Graziano da quell’immagine di
religioso gaudente e dedito ai peccati della carne che gli è rimasta attaccata,
e poi andare all’assalto del teorema Dioni. La costruzione accusatoria, cioè,
cui il Pm ha lavorato durante le indagini preliminari e il primo processo e che
ticchetta sinistramente sul capo dell’ex viceparroco congolese di Ca’
Raffaello, enclave aretina in provincia di Rimini. Si basa sul sms che Padre
Okeke ricevette alle 17,26 del 1 maggio 2014, il giorno della scomparsa di
Guerrina, ingoiata come da un buco nero.
Parte
dal cellulare di lei e dice: «Sono scappata con il mio amorozo marocchino». In
tutta questa storia Okeke non c’entra per niente, se non per aver conosciuto il
Frate, la casalinga di Ca’ Raffaello non l’aveva mai sentito nominare. Dioni e
gli inquirenti ne traggono un sillogismo: fu Padre Graziano, confondendo due
righe della sua rubrica, a mandare a lui il messaggio destinato alla catechista
del paese. Ma se è così, vuol dire che aveva in mano il telefono di Guerrina e
nel caso non può che essere l’assassino.
E’
evidente che provare a smontare questo quadro accusatorio, risentendo
anche Okeke, è il solo modo per la difesa di salvare il Frate, anche se
Angeletti dice che gli indizi resterebbero comunque contraddittori. Basterà un
giorno per arrivare a chiudere l’appello? Già stasera avremo la sentenza?
Dipende: se si riapre il dibattimento no di sicuro. Altrimenti tutto è
possibile, compreso un verdetto lampo. Per Padre Graziano è un altro giorno più
lungo. Ma quanti ne ha già vissuti?
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