E' la pena inflitta dalla Corte d'Assise al religioso
accusato di aver ucciso e fatto sparire la donna il primo maggio 2014 a Ca
Raffaello, località dell’Appenino aretino. "Ora dica dove ha messo il
corpo", chiede il marito Mirko Alessandrini
Ventisette anni di carcere per omicidio e
soppressione di cadavere. E’ la pena inflitta al frate Gratien Alabi,
il religioso accusato di aver ucciso e fatto sparire Guerrina Piscaglia il
primo maggio 2014 a Ca Raffaello, una località dell’Appenino
aretino, al confine con Emilia Romagna e Marche. La Corte d’assise di Arezzo
ha così accolto la quantificazione della pena richiesta del pm Marco
Dioni. Il religioso congolese era presente in aula ed è rimasto
impietrito alla lettura della sentenza.
“Ora dica dove ha messo il corpo”, chiede il marito della
donna Mirko Alessandrini. “Avevo il cuore a duemila e pensavo di
morire”, ha detto l’uomo dopo la sentenza. “Mia moglie non c’è piu, ma ha avuto
giustizia nel suo 52° compleanno”, ha detto. Gratien Alabi, ha poi aggiunto,
“ha tradito la fiducia di tutti noi: lo avevano accolto come un amico”. La
sentenza prevede anche il pagamento di una provvisionale da parte di Alabi al
figlio della coppia.
Il sacerdote non tornerà, tuttavia, in carcere. In attesa
della sentenza definitiva, al momento per padre Graziano restano in vigore gli
arresti domiciliari, con l’applicazione del braccialetto elettronico, che sta
scontando nel convento dell’Ordine Premostratense a Roma, a cui appartiene.
Padre Gratien era stato rinviato a giudizio il 29
settembre 2015 e il successivo 4 dicembre è iniziato il processo in
Corte d’Assise. Il23 aprile 2015 il religioso era stato
arrestato e condotto nel carcere San Benedetto di Arezzo perché sospettato di
voler fuggire all’estero. Dal 1° febbraio scorso si trova agli arresti
domiciliari, con l’applicazione del braccialetto elettronico, nel convento
dei Premostratensi di Roma, in viale Giotto, l’ordine religioso a cui
appartiene.
LA VICENDA – E’ il primo maggio del 2014
quando Guerrina Piscaglia, 50 anni da compiere, sparisce da Ca Raffaello,
piccola frazione di Badia Tedalda in un’enclave di terra
aretina incuneato in Romagna. La donna ha un figlio, Lorenzo, di 24 anni avuto
dal marito Mirko Alessandrini con il quale convive.
Di lei non si sa niente per alcuni giorni ma si sospetta che
si tratti di un allontanamento volontario. Le indagini, affidate ai carabinieri
e coordinate dal sostituto procuratore Ersilia Spena, prendono
un’improvvisa accelerazione qualche mese dopo, quando le sorelle della donna si
dicono perplesse sul possibile allontanamento volontario di Guerrina da Ca
Raffaello. Le battute di ricerca non portano a niente e intanto a fianco di
Ersilia Spena arriva il collega Marco Dioni che da settembre 2014 rimarrà il
titolare unico dell’inchiesta.
Il 5 settembre 2014 Padre Gratien Alabi, frate congolese
della parrocchia di Ca Raffaello frequentata da Guerrina, viene sentito dal pm
e da persona informata sui fatti diventa indagato per sequestro di persona.
L’ipotesi formulata dal magistrato si basa sul fatto che, da quanto emerso, la
donna si sarebbe innamorata del sacerdote tanto da rendergli la vita
impossibile. Padre Gratien, assistito dall’avvocato Luca Fanfani,
sceglie la linea del silenzio anche durante gli incidenti probatori con due
rumene che lo stesso avrebbe frequentato a Perugia prima di
essere arrestato con l’accusa di omicidio volontario e soppressione di cadavere
il 23 aprile 2015.
Il frate finisce in carcere ad Arezzo e uscirà solo nel
dicembre 2015 assistito peraltro da due nuovi avvocati Francesco Zacheo eRizieri
Angeletti. Ad agosto aveva rilasciato una serie di dichiarazioni spontanee
ritenute dal pm poco attendibili. Ad inguaiarlo ci sono soprattutto un sms mandato
ad un contatto che solo lui conosceva dal cellulare di Guerrina, dopo la sua
scomparsa, e il personaggio di “Zio Francesco” mai trovato e dunque per il pm
“inventato”.
Nel frattempo parte il processo in Corte d’Assise, i
giudici, presieduti da Silverio Tafuro, cercano di capire,
attraverso una lunga serie di testimonianze, cosa sia realmente accaduto senza
dimenticare però che il corpo della donna non si trova. Nel settembre scorso si
arriva alla richiesta di condanna a 27 anni da parte del pm Marco Dioni mentre
la difesa chiede l’assoluzione del proprio assistito perché a suo giudizio
nessuna prova va oltre il ragionevole dubbio.
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