La notte del 29 dicembre 2010 fu quella
del grande spavento per la rottura di tre conci del muro di sfioro dell'invaso.
E ancora non c'è l'esponente della Valtiberina seduto sulla poltrona di Ente
Acque
E' oggi il particolare anniversario che
ricorre negli ultimi tempi qui in Valtiberina: quello del grande spavento (e
per fortuna che è stato solo spavento!) creato dalla fuoriuscita dell'acqua
dalla diga di Montedoglio a causa di un guasto strutturale. La notte del
prossimo 29 dicembre saranno trascorsi 4 anni esatti da quell'evento –
chiamiamolo così – per cui potremmo tranquillamente affermare che, una volta
sfogato l'impeto dell'acqua senza gravi conseguenze per l'incolumità umana, è
tornata la tranquillità più assoluta. Così assoluta che in 4 anni non è accaduto
niente, a parte le solite chiacchiere e promesse che si sono rincorse fino al
silenzio pressochè totale dei mesi più recenti. Tanta la "rumba",
zero i fatti. La diga di Montedoglio, scesa di livello idrico fino al punto di
beccarsi un appellativo di "pozza delle nane" contrastato solo dalle
tante piogge riprese con continuità dall'autunno del 2012, ha finito con il
diventare una delle vergogne non solo della Valtiberina ma dell'intero panorama
nazionale, costeggiata e pure sovrastata in un breve punto da un'altra vergogna
nazionale chiamata E45. Due infrastrutture che, sotto questo profilo, vanno a
braccetto, anche perché si è scoperto che per realizzarle c'è chi ha adoperato
materiali di scarsa qualità e quindi fanno il paio anche per le stesse carenze
manifestate. Ma torniamo a quella piovosa serata del 29 dicembre 2010, in pieno
clima natalizio e con la mente di tutti già rivolta al cenone di fine anno;
intorno alle 21.15, quando tutti sono avvolti dal calore delle mura di casa,
arriva una voce che rimbalza a tempo di record in tutta la vallata: la diga di
Montedoglio sta cedendo. Sirene impazzite, evacuazioni, allagamenti, gente di
pianura che arraffa le poche ma indispensabili cose per fuggire in collina o in
un punto più alto, mentre un Tevere sempre più gonfio sta esondando sui terreni
circostanti e qualche privato (non molti) ci rimette il piano terra di casa
oppure il luogo in cui lavora: alludiamo ai vicini di casa del fiume. Viaio,
Santafiora, Gricignano, Pistrino e Piosina sono i paesi e le frazioni che
rischiano di più. La paura dura diverse ore: fino infatti alle 3.00 di notte
(ma forse anche qualcosa in più), il Tevere non ne vuol sapere di calmarsi e
chi abita lungo la sua asta trascorre comunque la notte fuori di casa, sperando
di ritrovarla (la casa) il giorno seguente, perché fino a quando non si arriva
a capire cosa è realmente successo tutti gli scenari, tutte le eventualità
debbono essere messe in conto. Solo ad un certo punto si capisce – sempre per
fortuna! – che a cedere non era stato lo sbarramento (ve lo immaginate cosa
avrebbe potuto succedere?) ma alcuni conci, termine tecnico con il quale si
definiscono i blocchi che compongono il cosiddetto muro di sfioro. Meglio così,
ma è chiaro che - fino a quando trova il buco – l'acqua continua a fuoriuscire.
E la quantità era impressionante. Solo a notte inoltrata matura la svolta in
positivo: la situazione progressivamente migliora e nel pomeriggio del giorno
30 la Prefettura dirama il cessato allarme, anche se il contesto urbano di Sansepolcro
rimane isolato fino alle 19.00 dal versante della campagna e della zona
industriale perché c'è un solo ponte sul Tevere e questo rimane chiuso al
traffico per precauzione. Chi insomma esce di casa al mattino per recarsi al
lavoro, sa già di non rientrare fino a notte ed è costretto per un giorno a
fare il giro di Pistrino. Che jella! L'invaso artificiale sul quale si aveva
cominciato a mettere mano 30 anni prima, sacrificando una bella porzione di
territorio (l'80% di quello di Pieve Santo Stefano e il resto diviso fra
Sansepolcro e Anghiari, con una puntina anche in quel di Caprese Michelangelo),
non aveva superato l'ultimo esame, quello del cosiddetto collaudo a pieno
regime. Ci aveva messo non poco per arrivare a riempirsi fino alla portata massima
di quasi 150 milioni di metri cubi d'acqua ed era oramai fatta. Per anni e
anni, assistendo magari a disastri più o meno ingenti causati in altre parti
d'Italia da bacini artificiali costruiti senza il massimo degli accorgimenti o
in zone non proprio felici dal punto di vista orografico, avevamo detto:
"Noi, con Montedoglio, possiamo stare tranquilli". In una sera,
caddero tutte le certezze; anzi, chi per 30 anni aveva dormito sonni tranquilli
in tal senso cominciò a nutrire qualche preoccupazione: d'altronde, la grande
certezza era caduta in un attimo. Per meglio dire, in una notte che ancora oggi
viene ricordata come quella della grande paura.
Come sempre accade in circostanze del genere, quando qualcosa non viene
fatto per il verso giusto, la natura si riprende quello che è stato dato. Nei
giorni e nei mesi successivi alla sfiorata strage, si scatenano le solite
polemiche. Scaricabarile di responsabilità, accuse pesanti al gestore (ancora
si chiamava Ente Irriguo Umbro Toscano e circa un anno più tardi sarebbe
divenuto l'attuale Ente Acque Umbre Toscane), che in quel periodo – non
sappiamo se la vicenda venne resa pubblica poco prima o poco dopo i fatti di
Montedoglio – si ritrovò fra le mani un altro scandalo: la Guardia di Finanza
denunciò infatti alcuni dipendenti che al mattino timbravano regolarmente il
cartellino per poi andare per i fatti loro. Da quel momento in poi – e con una
forza generata dalla grande apprensione di quella notte – si affermò, dapprima
attraverso le categorie economiche e poi il mondo della politica, il desiderio
di avere una figura rappresentativa della Valtiberina Toscana all'interno
dell'ente gestore, laddove per rappresentativa si intende capace di poter
svolgere il ruolo di controllore e non certo di "signorsì" della
situazione. Il sindaco Daniela Frullani, che nel maggio del 2011 (quindi 5 mesi
dopo il crollo) aveva vinto la tornata elettorale nel Comune di Sansepolcro, si
sbilanciò molto nell'individuazione di questa persona, chiedendo che
appartenesse all'ambito dell'economia e che quindi fosse un imprenditore o
comunque un nome fuori dagli schemi politici, al contrario del governatore
della Toscana, Enrico Rossi, che nell'aprile del 2012 ha poi assegnato la
specifica poltrona (quella che peraltro comporta in automatico la presidenza
dell'Eaut) all'ingegner Renzo Boretti, ex funzionario dell'amministrazione
regionale, non prima però dell'accantonamento di Ilio Pasqui, la cui nomina
innescò non poche polemiche per più motivi: riciclaggio dei soliti noti e un
bando costruito in fretta e furia che – come ebbe a dire in un secondo tempo
l'assessore regionale Vincenzo Ceccarelli – "non era stato in effetti
accompagnato dalla giusta evidenza pubblica". Ma il Partito Democratico
cominciò ad avanzare le pretese sul fatto che il nominato fosse di sua
espressione, scatenando anche in questo caso enormi polemiche. E si arriva così
a fine 2013 (cronaca di un anno fa), quando il sindaco Frullani estrae dal
cilindro il nome dell'avvocato Riccardo Lorenzi, che però a tutt'oggi non si è
ancora insediato in questo organo. I motivi – se mai vi fosse bisogno di
ricordarlo – sono sempre di natura politica. Ma in questo momento, crediamo che
ai cittadini della Valtiberina interessi ben poco sapere chi andrà a poggiare
il sedere sulla poltrona dell'Eaut: il dato oggettivo è che in 4 anni non è
stato eseguito mezzo intervento nell'invaso e questo non giova di certo alla
sicurezza, che invece è il vero requisito richiesto da chi sente di avere in
pericolo la propria incolumità e il tetto di casa. Come si ricorderà, nel
gennaio del 2011 – a nemmeno un mese di distanza dal cedimento dei conci – i
residenti di Santafiora si erano costituiti in apposito comitato per
rivendicare i loro diritti; della serie: "Abbiamo avuto molta paura quella
notte, per cui vogliamo garanzie assolute a livello di sicurezza. Non ci
interessa che la diga venga risistemata a tempo di record perché ovviamente c'è
un'acqua da distribuire a più richiedenti; meglio fare più tardi, ma fare le
cose per bene: non vogliamo più addormentarci con la preoccupazione
addosso". In parallelo con le discussioni concernenti l'Ente Acque e le
nomine (già, la parte umbra ha subito provveduto a nominare il proprio
rappresentante nel dottor Claudio Serini, ex sindaco di Citerna), viene formata
una commissione di esperti che ha il compito di stabilire le cause
dell'inconveniente. Ebbene, dopo mesi di lavoro ecco la sentenza: cemento e
ferro adoperati per innalzare i conci erano di qualità scadente. Dunque, si può
ragionare in un'ottica di risparmio dei costi quando di mezzo c'è la sicurezza?
Lo diciamo francamente: nell'apprendere questa notizia, ci siamo sentiti offesi
e traditi, perché su un'opera del genere e sui rischi ad essa collegati non si
può scherzare. Ne' era più il caso prendersela o di imprecare verso qualcuno,
perché i presunti responsabili erano già tutti o in buona parte deceduti. Gli
attuali responsabili si erano dichiarati persino disposti a innalzare il muro a
spese proprie: sarebbe stato comunque un buon esempio in un Paese che di esempi
buoni ne sta offrendo purtroppo pochi. Anche su questo versante, tante le
promesse e zero i fatti: era stato stilato un preciso programma che, pur
dovendo rispettare le scadenze burocratiche, avrebbe previsto l'inizio dei
lavori di risistemazione in primavera, con completamento entro il giugno 2014.
Ma era soltanto una pia illusione! Il 2014 sta per finire e Montedoglio è
rimasto quello del "day after", con un livello d'acqua abbassato e
una capacità inferiore che però non tolgono ad esso il fascino di eccezionale
"specchio" incastonato fra il verde delle colline appenniniche. Già,
anche alla valorizzazione turistica dell'invaso non si è quasi mai pensato: lo
si attraversa in lungo e in largo, lo si apprezza per la sua bellezza, si tenta
di costruirvi attorno percorsi e sentieri, ma nella sostanza questo lago è
trattato alla stessa stregua di una "vascone" e poco più, che serve
per limare le piene (non neghiamo che, senza Montedoglio, le abbondanti piogge
avrebbero potuto allagare la Valtiberina) e la cui acqua è ambita ovunque. Al
proposito, come mai – altra domanda posta dai cittadini della Valtiberina – di
questa sorta di "oro azzurro" chiamato acqua beneficiano tutti meno
che il territorio che funge da deposito della risorsa? Non si può gridare
"al lupo, al lupo!" solo quando l'animale ha divorato le pecore:
meglio costruire un adeguato recinto per proteggerle. E in questo caso cosa
dobbiamo aspettarci, che crolli un altro pezzo di muro? Come sempre, ci
troviamo di fronte a numerosi altarini e bugie di politici e politicanti, che
in maniera furbesca (non appena si abbassano i toni, proprio come avviene ora)
fanno finire il tutto nel dimenticatoio. Tanto, che cosa volete? L'Italia è
questa e lo si è visto in occasione delle "fresche" alluvioni in
Lombardia e in Liguria: prevenzione zero e poi si piangono i morti. Già, ma
nelle stanze del potere i rischi non si corrono. E ora attenzione: in primavera
si andrà di nuovo alle urne per eleggere presidente e consiglio regionale;
"sua maestà" Enrico Rossi tornerà in Valtiberina alla ricerca di
voti, promettendo mari e monti e magari ci porterà anche qualche
"spicciolo" per darci il contentino. Tanto – oramai è risaputo – la
Valtiberina è terra di nessuno: addirittura in quel di Arezzo ci porterebbero via
Piero della Francesca. Se non altro, ci stanno provando, anche se sanno che a
Sansepolcro non possono togliergli i natali, ne' suoi i capolavori conservati
al museo. Con l'acqua, le pretese degli altri sono ancora superiori e allora la
Valtiberina non deve comportarsi da "padrona" di una risorsa che
comunque si ritrova, ma quantomeno da zona che per garantire l'acqua ha
sacrificato un pezzo del suo territorio e del suo ecosistema. Almeno questo, ad
essa dovrà essere riconosciuto, ma non si tratta di un diritto acquisito:
spetta ai politici della vallata il compito di farselo riconoscere.(FONTE:SaturnoNotizie.it)
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