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    mercoledì 19 settembre 2012

    Strage di pecore a Stiavola: i lupi sono entrati anche dentro il recinto


    Nel giro di un mese l'allevamento è stato dimezzato
    Stiavola (Badia Tedalda) è un grappolo di case, che guarda il profilo dell'Alpe della Luna. Un terrazzo baciato dal sole, tra coltivi e boschi, un tempo anche sede di un convento di frati cappuccini. Il suo passato traspare nel tessuto urbano tra pietre antiche e sbuffi di moderne architetture. Un silenzio appena toccato da lavori agricoli e in estate, un gomitolo di parlate riempiono le case altrimenti vuote. Lo presidia la famiglia Bacci e sarebbe un paradiso per essa, se non dovesse convivere con il nuovo "padrone" dell'Appennino: il lupo.
    Tre assalti in un mese: la mattina del 18 settembre incomincia con una vera carneficina: lo stallo è stato violato da un branco. Otto pecore giacciono con la gola squarciata; altre 11 sono più o meno gravemente ferite. Delle 63 pecore che rappresentavano un appassionato allevamento e importante per l'azienda, tra morti e feriti, è stato dimezzato.
    "E' impossibile continuare a lavorare e a vivere. Non sappiamo mai se il giorno dopo abbiamo ancora il nostro prodotto. Una cosa spaventosa. E nessuno ci ascolta".
    Il signor Bacci ha una famiglia giovane, che vive della terra ed è innamorata del suo lavoro. Ha una buona stalla di Chianine, pasture, e quella mandria di ovini che sono un importante parte della azienda e delle risorse famigliari: latte, formaggio, agnelli da mettere sul mercato al momento opportuno. L'azienda è a cavallo dei comuni di Sestino e di Badia Tedalda, il cui confine è segnato da un antica strada di transumanti e pellegrini.
    "I nostri progetti vanno continuamente in fumo- continua il sig. Bacci.- Non solo noi e non solo pecore. Molte aziende della zona hanno avuto danni gravissimi. L'altro ieri è stata trovata una vacca precipitata in un fossato, dopo lo sbrancamento I lupi sono numerosi, si muovono a gruppi e azzannano vacche, vitelli, e soprattutto pecore. Non hanno paura di niente, arrivano nelle stalle, scavalcano o strappano la terra per entrare nei recinti che facciamo sull'aia. Tutte le cautele non servono a nulla. Quando era
     
    ragazzo del lupo non si sentiva neanche parlare e se accadeva di ammazzarne uno, il "proprietario" passava alle case e tutti lo ringraziavano con cacio, vino, frutta. Oggi i padroni sono i lupi".
    Dice cose giuste, con il groppo alla gola, il signor Bacci. E guarda ancora quella stesa di pecore immobili e sente il belare sommesso di quelle ricoverate nella stalla. Il veterinario, dott. Vincenzo Pantalena, cerca di curare i capi meno rovinati, nel tentativo di salvare qualcuna delle pecore ferite. Ma si sentono rantoli in giro.
    Il sangue ha intriso la terra del recinto. Alcune erano gravide e dovevano figliare. L'assalto è stato preciso: azzannate alla gola, succhiato il sangue, strappato il vello di lana e brandelli di carne.
    Non solo il numero dei capi perduti ma la continuità degli attacchi getta nello scoraggiamento, perché significa davvero che non c'è possibilità di difendersi, non c'è sicurezza di arrivare a godere i risultati di un lavoro che è capitale per l'azienda.
    Quanto denuncia il signor Bacci è una lamentala, ormai generale. Il che significa che la situazione deve essere affrontata dalle istituzioni e dalla politica in maniera decisiva, sapendo benissimo che quanti presidiano la zone collinari e montane, sono i custodi preziosi di un patrimonio, che torna a vantaggio di tutti. (Arezzo Notizie)
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